Prossima Distanza Sociale

           

 

Mi sono  chiesta cosa significhi  “distanza sociale”: le parole hanno un significato e il loro uso deve sempre essere sapiente e accorto, perché veicolano i messaggi che vogliamo inviare.

Ebbene, in questo caso, l’accostamento tra il sostantivo distanza e l’attributo sociale è un ossimoro, una contraddizione di termini.

La distanza è lo spazio fisico o astratto tra le persone, che in tempi di pandemia è normato quantitativamente ( m.1) e qualitativamente come cesura nei rapporti umani, ulteriormente marcato da segni visibili come i presidi sanitari.

La distanza genera, infatti, di per sé il pensiero dell’altro, del diverso da se stesso, perché la stessa percezione visiva e uditiva patisce quest’ostacolo, ed anche un metro, se attraversato in entrambe le direzioni dal timore che l’altro sia un untore, si misura in anni luce.

L’aggettivo sociale, invece, ci rimanda al vivere in Società, cioè l’insieme organizzato delle persone cui l’uomo per natura tende, in quanto “animale sociale”.

La terminologia normativa che salda due termini altrimenti antitetici possiede anche una spinta culturale: la distanza  imposta qualificata sociale evoca in ciascuno di noi  il senso di responsabilità, più o meno sommerso a seconda delle persone.

Obbediamo a tale precetto, definito non a caso sociale, perché rispettando tale norma evitiamo di infettare chi incontriamo per un nostro  gesto sconsiderato.

La parola sociale distrae dal fatto che si tratti in realtà di una  misura anti contagio per noi stessi, prima che per gli altri : del resto, le persone malate sono già soggette ad un regime cogente di isolamento, che renderebbe del tutto superflua la previsione.

La distanza sociale è una misura che con tale denominazione da corpo e misura al naturale timore di essere contagiati, ammantando però di altruismo con la qualifica sociale quello che sarebbe un sano gesto assolutamente auto – conservativo.

Senza la proiezione sociale, la parola “distanza” farebbe cadere per la maggior parte delle persone l’aura di abnegazione e di sacrificio per il prossimo ricercata nella vita da molte persone, spesso invano, fino appunto  all’ adozione di questa misura.

Si tratta di una precauzione con solido fondamento scientifico che ha trovato immediato positivo riscontro perché ha permesso a ciascuno di noi di allontanare lo spettro del contagio che il contatto anche fortuito avrebbe potuto portare.

La distanza non può essere sociale per definizione, ma questa formula ha creato un surrogato di comunità e di appartenenza, nel deserto relazionale venutosi a creare, in realtà da molto tempo.

Non intendo appiattire sulla vicinanza fisica la socialità o le relazioni (ritenendo anzi la  vicinanza al limite del soffocamento in determinate situazioni pre- Covid ben altro che relazionale), ma nella Società attuale la distanza è ontologicamente incompatibile con la socialità: abbiamo abbattuto muri materiali e morali, l’iconico Quarto Stato di Pelizza da Volpedo è l’emblema della piazza abitata dalle più varie istanze, abbiamo promosso eventi e luoghi il più affollati possibile, siamo usi a misurare il successo di un’iniziativa pubblica o privata dal numero delle presenze, si sono innalzati i centri commerciali come il non plus ultra dell’aggregazione, e adesso si accosta la distanza al sociale?

Non riesco a non diffidare, in primis per me stessa, dalla solidarietà reciproca nella malattia per proteggere l’altro, al punto da far ritenere plausibile che la distanza sia sociale: la distanza è ritrarsi nel proprio avamposto per difesa o per sferrare un attacco, non per generosità verso tutto e tutti.

Si tratta di dimostrare coraggio anche nell’ uso delle parole, perché la distanza non è sociale, è giusta, necessaria, preventiva, essenziale, salvifica, ma non sociale.

Mi chiedo quale sarà la prossima distanza sociale ? Introduco un altro termine nell’ ossimoro, cioè prossima nel senso di vicina, per interrogarmi se sarà necessario dare un altro significato alla parola vicinanza oppure se  prossimità potrà coesistere con la distanza sociale.

La solidarietà passa attraverso le persone e le unisce: può  sciogliere l’ossimoro? Può la Carità avvicinare la distanza con il prossimo?  Riusciamo a vedere anche alla distanza o siamo miopi? Si può rendere prossima la distanza trasformandola in una vera istanza sociale?

Siamo in grado di trasformare il servizio ai poveri filtrato dai presidi sanitari in una vicinanza a loro?

Siamo a un bivio tra la Carità e la Salute oppure ci sfugge qualcosa?

La distanza è un’ottima consigliera quando è necessario prendersi  un momento per osservare le cose dal di fuori, allora si scoprono aspetti nuovi e  nuove idee risolvono problemi ritenuti insolubili.

Le opere di Carità ci spingono verso l’altro nel bisogno, ad andare verso il fratello povero, malato, carcerato; Gesù ci dice che è con noi quando due o più sono riuniti nel Suo nome, il Vangelo è un racconto corale, dove si muovono tante persone intorno a Gesù, anche quando le leggi dell’emarginazione o della segregazione avrebbero dovuto impedire il minimo contatto con il Maestro.

“Chiesa” deriva etimologicamente da “assemblea”, la Comunità è la cellula fondamentale cristiana, e nulla ha ceduto di fronte alle grandi epidemie e catastrofi della Storia, il tessuto connettivo non ha subito lacerazioni.

Si stagliano nella Storia figure titaniche che hanno saputo abbattere  i muri sanitari, curare, mettersi al servizio, sacrificarsi, e far aprire gli occhi su cosa significasse essere malato, emarginato, sia nel passato remoto che ai giorni nostri, sempre però con la costante iconografica dell’essere accanto e chino sul malato bisognoso, come una madre con il bambino, con una carezza sul viso sofferente, con uno sguardo amorevole ed un sorriso luminoso.

Se la pandemia di oggi ha fatto sparire la Carità e la tenerezza, così per decreto, da un giorno all’altro, due sono le cose: o era solo apparenza oppure è un gravissimo e tragico segno dei tempi, ben più mortale della malattia.

La Carità non è una moda passeggera né effimera, ha agito anche nei momenti più bui della Storia, la distanza sociale non è una barriera, è una porta accostata che aspetta di essere aperta per entrare in relazione di nuovo con l’altro.

Forse noi possiamo dare il senso profondo di “distanza sociale”, aggiungendo “prossima”: essere accanto esprimendo tenerezza e amorevolezza, con le protezioni a tutela dell’altrui salute (non per nascondere l’auto – protezione), stando insieme.

Il servizio ai poveri cambia secondo le povertà che nel tempo si sono venute a creare, le risorse e l’impegno sono variabili che dipendono dalle persone e dall’ impegno, ma al centro resta l’incontro con il povero, che aspetta sempre, beffato oggi davanti al cartello “ attendere, distanza sociale”.

Proviamo a scrivere su un foglio: “ Benvenuto: prossima distanza sociale” e lasciamoci ispirare dalla Carità che è ricca di fantasia.

Maria Cristina

 

 



Articolo postato in Diario quotidiano. Salva il link.
navigation ?php endif; ?